Claudia Longari

Mi chiamo Claudia Longari, arrivai nel quartiere di San Leonardo, proveniente da Viarolo, nel Natale del 1950 o del ’51, non ricordo esattamente. Ero piccola, non andavo ancora a scuola e, arrivata in San Leonardo, andai all’asilo dalle suore.
Abitavamo dentro alla fabbrica Bormioli Rocco, in una casa che non c’è più da molto tempo. Ubicata verso Via Genova. Era composta di un piano terra e un primo piano.
Davanti alla casa c’era un orto molto bello e grande, coltivato da un dipendente. Mi incantavo a guardarlo lavorare. Spesso mi regalava le fragole … ricordo anche una distesa di tulipani coloratissimi.
All’angolo della casa, con visione sulla fabbrica, aspettavo con trepidazione che mio padre tornasse a casa nel mezzogiorno, per pranzare insieme.
Mio padre era capo del Reparto Fabbri; ci diedero la casa di abitazione perché era anche responsabile della cabina del metano. Andava a controllarla spesso, anche alla domenica.
In quel periodo molte volte lo accompagnavo, la sera, a fare il giro della fabbrica, la passeggiata mi piaceva molto.
C’erano diversi bacini che fondevano i vari elementi e creavano il vetro. Mi sembrava tutto immenso!
Gli operai mi salutavano e mi facevano dei complimenti che gradivo molto!
Nel periodo estivo spesso arrivavano le ambulanze con le sirene spiegate, per soccorrere i lavoratori addetti ai bacini di fusione del vetro. Faceva un caldo terribile! Ogni volta mi spaventavo e correvo fuori per guardare.
Ogni giorno arrivava in fabbrica la berlina blu di Rocco Bormioli, guidata dall’autista in giacca, cravatta e con il berretto anche d’estate. L’autista apriva la portiera dell’auto, Rocco Bormioli scendeva e non salutava nessuno, poi se ne andava impettito nel suo ufficio.
Il figlio, Pierluigi, era molto diverso, salutava tutti e mi faceva dei complimenti. Si è sempre interessato agli studi che facevo e, crescendo, mi aveva promesso che mi avrebbe assunto!
Così avrebbe fatto, ma io ho preferito scegliere la strada dell’insegnamento. Di lui ho un ricordo molto bello, durato anni.
Quando Pierluigi si sposò con la Marchesa Maria Stefania Balduino Serra portò i confetti a tutti.
Nel frattempo, l’orto che si trovava davanti a casa era sparito, al suo posto venne costruita una nuova cabina del metano.
Due cani, pastori tedeschi “assunti come operai” della fabbrica, andavano indisturbati ovunque. Quando arrivavano a casa mia, giocavo con loro. Si chiamavano rispettivamente: Max e Mara. Li consideravo miei e li trovavo bellissimi!
Ho trascorso 15 anni della mia vita all’interno della fabbrica Bormioli Rocco. Vi furono dei cambiamenti tra cui l’entrata della fabbrica che prima era in Via San Leonardo e poi venne spostata in Via Genova.
Dovevo passare davanti alla Portineria ogni volta che uscivo o rientravo a casa. Ricordo i portieri che si sono avvicendati e i loro visi, alcuni erano simpatici, altri no; mi rammento in modo particolare del sig. Utini che era diventato amico di mio padre.
C’era molto verde che separava la mia casa dalla fabbrica, da via San Leonardo e da Via Genova.
Nella “villa”, su Via San Leonardo, abitava il Direttore della Bormioli, dott. Gianni Corradi, che ospitava il fratello con la famiglia e anche una sorella sarta con le sue aiutanti. Io giocavo con i loro figli e, soprattutto, con la figlia maggiore del dottore: Stefania.
Il dott. Gianni aveva idee politiche opposte rispetto a quelle di mio padre così, alle elezioni, si canzonavano un po’. Il dottore diceva: “Voglio darle una camicia rossa per andare a votare”. Mio padre replicava: “Per andare a votare io voglio raccogliere un mazzolino di fiori bianchi, verdi e rossi”. Era soprattutto un bel rapporto di stima reciproca.
Quando mio padre morì il 30 Aprile del 1973, a soli 58 anni, il dott. Gianni fu la prima persona ad arrivare a casa mia con la moglie. Si trattenne tanto tempo, ricordando i bei tempi trascorsi.
Nel Reparto Fabbri c’era molta solidarietà e affiatamento. Nel corso degli anni, quando capitava a mio padre di avere l’influenza, i colleghi venivano sempre a trovarlo e gli raccontavano cos’era successo in sua assenza. E ogni giorno non mancavano di chiedere notizie.
È un mondo finito per cui, a volte, provo rimpianto.

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