Mi chiamo Lorena Martini, sono nata a Parma nel 1960 e, tranne i primi anni dell’infanzia, ho sempre abitato in questo quartiere della città.
L’unico stipendio che entrava in famiglia era quello di mio padre ferroviere, motivo per il quale subito dopo la maturità, conseguita all’Istituto d’Arte Paolo Toschi, nell’estate del 1979 presentai domanda di lavoro in alcune aziende, tra le quali la Bormioli Rocco.
Nell’autunno dello stesso anno mi chiamarono dalla Bormioli Rocco per un colloquio e incontrai prima il Dott. De Angelis e, successivamente, il Dott. Giuberti.
L’iniziale perplessità di entrambi fu che, data la mia giovane età, potevo costituire una “pericolosa” distrazione per i tanti uomini presenti nel Reparto. Affermazione che mi impressionò molto!
Alla fine, la mia domanda venne accettata ed entrai in azienda il 3 dicembre 1979, con la mansione di operaia addetta al Reparto Scelta.
Memore della perplessità dei dirigenti del Personale, per tutto il periodo di lavoro come operaia, indossai sempre salopette o pantaloni, scarpe basse e il tutto coperto da un grembiule di almeno una taglia superiore alla mia. Inoltre, essendo molto timida, per me era naturale mantenere un “basso profilo”.
L’assunzione definitiva era ovviamente subordinata al superamento del periodo di prova.
Iniziai questo periodo di prova nel Reparto Riscelta dove mi insegnarono, attraverso la pratica, come individuare e quali fossero i vari difetti del vetro.
L’orario era giornaliero e il lavoro abbastanza tranquillo perché nel reparto arrivava il vetro già imballato; questa ulteriore scelta veniva eseguita su vetri che presentavano un grado di difettosità giudicato troppo elevato dal Controllo Qualità, presente nel Reparto Scelta.
Inoltre, in questo modo, imparai a distinguere i vari tipi di imballo.
Nulla però ti può preparare veramente al lavoro del Reparto Scelta.
La prima impressione fu che nel Reparto regnasse una gran confusione e tanto rumore: quello delle macchine di produzione e quello dei nastri metallici che trasportavano gli articoli dalla macchina di produzione all’interno del forno di ricottura* e, infine, al fondo linea; qui si trovavano le postazioni di chi doveva raccoglierli, scartare i difettosi, imballarli e portare le confezioni sul pianale di legno, disponendole in base alle indicazioni dello schema di imballo.
E dovevi essere veloce, altrimenti i vetri sarebbero caduti sul pavimento del Reparto.
Gli addetti ai carrelli manuali spostavano la paletta completata** e, al suo posto, lasciavano cadere il pianale vuoto con un gran tonfo, facendo vibrare la pavimentazione del Reparto.
Per sovrastare i rumori, le persone erano costrette ad alzare la voce.
In quel periodo funzionavano otto forni con ventitré linee di produzione e, con vetri di vari colori, venivano prodotti una miriade di articoli diversi: flaconi per la farmaceutica e la profumeria, piatti, bicchieri, calici, posacenere, vasi e bottiglie per l’alimentare e la distilleria, vasetti per omogeneizzati, ecc.
Ognuno aveva un proprio imballo, in funzione della velocità con cui l’articolo veniva prodotto e, soprattutto, a come era attrezzato il fondo di quella linea di produzione.
Alcune linee erano prive di attrezzature per cui l’imballaggio degli articoli era completamente manuale, in
- il vetro appena formato conserva ancora un’elevata temperatura e non resiste ad un rapido raffreddamento spontaneo; la superficie si raffredderebbe rapidamente a differenza della massa, e l’insorgere delle tensioni interne determinerebbe la rottura dell’oggetto. Si procede perciò ad un lento raffreddamento, chiamato tempera o ricottura, con questi speciali forni a tunnel che progressivamente riscaldano sempre meno il vetro, sino ad arrivare alla temperatura ambiente.
** ossia il pianale di legno con sopra i vetri confezionati nel loro apposito imballo.
altre, invece, era semi-automatico.
Solo parecchi anni dopo alcune linee vennero completamente automatizzate.
A volte capitava di essere assegnati a linee dove si confezionavano articoli pesanti (piatti, posacenere, bottiglie, ecc.) e la schiena era messa a dura prova perché le confezioni potevano pesare anche più di 10 kg. Altre volte si veniva assegnati al ribaltino dove i flaconcini farmaceutici si allineavano velocissimi sulla piastra, riempiendola. Infilavamo sui flaconcini un vassoio di cartone e poi la piastra ribaltava il tutto sui nostri avambracci. Il timore che cadesse un vassoio pieno di flaconcini era tanto! Purtroppo non era raro che accadesse, con un gran fragore di vetri rotti.
Per chi lavorava al Reparto Scelta era facile tagliarsi le dita con i vetri che si rompevano.
In quel periodo alle donne era ancora “risparmiato” il turno di notte, nonostante questo, per me che avevo 19 anni, andare al lavoro dalle 14:00 alle 22:00 della domenica era una discreta “sofferenza”. Quando però avevo il turno dalle 6:00 alle 14:00, mi sembrava di avere tanto tempo per dedicarmi ad altre cose.
Era necessario arrivare in stabilimento con un buon anticipo, perché si doveva dare il cambio sulla linea dov’eri destinata, in modo che la persona smontante avesse il tempo di andare nello spogliatoio a cambiarsi, prima che scoccasse l’ora di timbrare il cartellino per uscire.
Essendo una prassi consolidata e rispettata da tutti, una mattina mi capitò di tardare e di entrare in Reparto alle 6:00 precise, per cui la persona a cui dovevo dare il cambio me ne disse di tutti i colori …
Col tempo, con le spiegazioni e l’aiuto preziosissimo delle mie colleghe più esperte, capii che c’era una logica in tutto.
Esse mi considerarono come una figlia e, sicuramente, mi protessero come se lo fossi.
Un giorno uno dei sorveglianti del Reparto mi disse di andare in Direzione del Personale.
Lì erano presenti il Dott. Giuberti e il Sig. Manghi, responsabile dell’ufficio Programmazione Produzione della vetreria, i quali mi dissero che stavano cercando una persona da inserire in Programmazione e che stavano vagliando le persone che in quel momento erano inquadrate come operai, purché fossero in possesso del diploma di scuola superiore.
Al Sig. Manghi non importava quali competenze avesse una persona, in particolare desiderava trovare qualcuno con un carattere tranquillo, avendo già in ufficio, lui compreso, persone caratterialmente molto nervose.
Evidentemente mi giudicò idonea perché a Marzo del 1980 passai dalla Scelta all’Ufficio Programmazione.
La realtà dell’ufficio era molto diversa da quella della fabbrica, ma quel che appresi al Reparto Scelta fu estremamente utile anche nella nuova posizione.
Dopo pochi anni di lavoro alla Programmazione della produzione, a causa delle dimissioni di un collega che si occupava degli imballi, venni affiancata al responsabile di questo settore.
Tra il 1983 e il 1984 vennero installati nei vari uffici i terminali collegati con il computer aziendale che sostituì quello “alimentato” con le schede che venivano perforate manualmente, trasformando il Centro Meccanografico in Centro Elaborazione Dati.
Iniziammo così la codifica e l’inserimento nel sistema aziendale dei componenti dell’imballo e del codice imballo che identificava, in modo univoco, di quanti e di quali componenti era composta la confezione di quel determinato articolo.
Codifica che svolgevamo per lo stabilimento di Parma, Revere e Bergantino.
Il nostro lavoro consisteva nell’ordinare in quantità sufficiente gli imballi necessari al confezionamento di ogni articolo che veniva programmato nella settimana di produzione presa in esame.
Dovevamo ordinare anche gli imballi necessari per eventuali successive lavorazioni, come nel caso di decorazioni o di riconfezionamento in altro imballo richiesto dal cliente.
Dovevamo progettare l’imballo di ogni nuovo articolo.
Numerose erano le richieste di clienti di avere un preventivo. In base ai dati indicati dagli Uffici Tecnici, noi dovevamo calcolare i pezzi contenuti in ogni imballo, i pezzi per ogni paletta e, soprattutto, le persone necessarie a fondo linea per realizzare l’imballo ipotizzato. Tutto questo serviva all’ufficio Costi per comporre il prezzo da comunicare al cliente.
Ogni giorno passavamo al Servizio Etichette i dati per stampare le etichette che servivano per contrassegnare le palette degli articoli che sarebbero andati in produzione, per renderle identificabili una volta arrivate nel Magazzino Prodotto finito.
Nel 1994, dopo che il responsabile andò in pensione, dettero a me la responsabilità della programmazione e progettazione degli imballaggi industriali della vetreria.
Tra il 1986 e il 1998, la fabbrica subì una progressiva riduzione: quattro forni vennero spenti e le produzioni di molti articoli spostati in altri stabilimenti acquisiti dalla Bormioli Rocco.
Nel 1996 venne creata la Logistica. Ufficio che raggruppava le competenze della Programmazione della produzione, degli imballi, del Commerciale legato alle spedizioni e, solo in un secondo tempo, degli stampi.
Dovemmo cambiare ufficio perché ci raggrupparono nella zona più antica dello stabilimento.
Lì mi resi conto che la maggior parte delle colleghe non avevano mai visto, e non sapevano dove fossero, le linee e le macchine di produzione. Io mi sentivo privilegiata per aver avuto la possibilità di vivere in prima persona una parte fondamentale dello stabilimento: la produzione.
Nell’estate del 2001 la Direzione decise che la Logistica, così com’era stata strutturata, non dovesse continuare, per cui rimasero sotto il nome Logistica solo la Programmazione della produzione, degli imballi, degli stampi e due persone dell’ambito commerciale, mentre tutte le altre colleghe commerciali rientrarono negli uffici con i rispettivi capi area. Dovemmo traslocare nuovamente, stavolta in un ufficio più piccolo, situato nella palazzina della Presidenza.
Contestualmente, tra Giugno e Settembre del 2001, spensero altri due forni fermando ben otto linee e, di conseguenza, vi fu un forte ridimensionamento del personale con un ricorso massiccio alla cassa integrazione. L’11 Settembre 2001, mentre negli Stati Uniti crollavano le Torri Gemelle, con altri due colleghi fui collocata in cassa integrazione. Analogamente “crollava” la mia convinzione di aver lavorato, in tutti quegli anni, al meglio delle mie possibilità.
Per completare la mia storia dirò che nell’Ottobre del 2002 venni chiamata nello stabilimento di Fidenza, e lì rimasi nell’ufficio Programmazione Seconde Lavorazioni per poco più di 18 anni, sino al pensionamento.
Lavorare nella Bormioli Rocco, a Parma, ha significato conoscere e collaborare con tantissime persone, alcune caratterialmente non semplici ma, per quasi tutte, l’importante era svolgere al meglio il proprio compito. Di tante conservo un bellissimo ricordo.
Sentivo di essere parte di un grande organismo, rumoroso, torrido d’estate, intricato, fatto di pezzi di fabbrica aggiunti a più riprese ma, pur con tutti i suoi difetti, ricco di umanità.