Mi chiamo Lucia Branchini, nata a Campitello in provincia di Mantova.
Mi sposai giovanissima con un ragazzo di Colorno che lavorava alla Bormioli Luigi.
Poiché mia madre era originaria di Parma, con tutta la famiglia venni ad abitare a San Leonardo, al civico 2 di Via Amendola, in un nuovo palazzo di 6 piani.
Nel 1967, mentre già lavoravo alla Ligure Emiliana, venni a sapere che la ditta Bormioli Rocco cercava delle lavoratrici.
Sino ad allora erano stati preferiti gli uomini che si avvicendavano in tre turni:
h. 6:00 – 14:00 h. 14:00 – 22:00 h. 22:00 – 6:00
Le donne non lavoravano ancora nel turno di notte.
Avevo 19 anni e, dopo la domanda che presentai in Bormioli, nel maggio dello stesso anno ebbi il colloquio col Dott. Giuberti, il quale mi chiese anche la disponibilità ai turni.
Poter lavorare in una fabbrica e avere uno stipendio fisso realizzava il desiderio di rendermi autonoma, di poter aiutare la famiglia, comprare una casa e, magari, una Fiat 600.
Il mio primo impiego ebbe inizio dopo una decina di giorni nel Reparto Plastica. La mia mansione consisteva principalmente nel decoro di flaconi di plastica (ad esempio del Vinavil), ma nel reparto si eseguiva anche la plastificazione dei flaconi di vetro, lo stampaggio di tappini per i flaconi, di scatoline per ombretti, ecc.
Alla serigrafia eravamo in tre donne: la prima prendeva da una scatola i flaconi di plastica e li metteva sulla rotativa per la serigrafia, la seconda li toglieva dalla rotativa e li metteva sul nastro che asciugava l’inchiostro, la terza confezionava i flaconi decorati nelle scatole, controllando al tempo stesso la qualità della serigrafia.
I rapporti umani erano complessi, più facili con le altre donne, più complicati con gli uomini. In un’azienda all’80% maschile potevi trovare anche personaggi con poca sensibilità nei confronti delle donne.
Occorreva adeguarsi e rispondere a tono. Essendo tanti, si poteva incontrare l’eccessiva severità di un caporeparto, oppure la gentile disponibilità di un collega che ti doveva spiegare un lavoro.
Il modo di vestire doveva essere decoroso.
Ricordo benissimo un paio di aneddoti di quel periodo.
Tra la macchina 32 e la macchina 41, era collocata la scala che collegava gli spogliatoi con il reparto produttivo. Rocco Bormioli (padre di Pierluigi) era anziano ma, quotidianamente, entrava da quelle scale per salire al piano della vetreria. I macchinisti addetti ad una delle due macchine di produzione erano i primi a scorgerlo. Fu così che un giorno, vedendolo salire, un macchinista disse: “Oh ragass, sti tenti, a ghé Rochét”. Il rumore era così forte che Rocco difficilmente poteva aver sentito ma, evidentemente, capì dal labiale perché all’orecchio dello stesso macchinista disse: “Oh ragass, sti tenti, a ghé Rochét” e poi si allontanò come se nulla fosse.
Addetto al Controllo statistico del Reparto Scelta, c’era un signore molto distinto soprannominato l’Americano. Aveva la passione per il ballo e questo gli conferiva un portamento elegante.
La moglie era magliaia e confezionava maglioni per una ditta. Capitava spesso che fosse lui a consegnarli alla ditta però, se prima della consegna aveva un turno di lavoro, portava i maglioni in fabbrica, ed ogni paio d’ore circa, si cambiava e ne indossava uno. Così era possibile vederlo con tre o quattro maglioni diversi nell’arco delle otto ore del turno.
Il Reparto Plastica verrà poi spostato a Pontetaro, fondando così la Metalplast. Nel tempo questa nuova azienda produrrà le capsule per le Frigoverre, contagocce per la farmaceutica, tappini per i flaconi, ecc.
Allo scopo di completare l’offerta degli accessori per i vetri che produceva, Bormioli era proprietaria anche dell’Italcaps, stabilimento in provincia di Latina, che fabbricava le capsule per i vasi 4 Stagioni e altre tipologie di tappi, destinati ai vasi per l’alimentare.
Nel 1974 venni spostata in Laboratorio Chimico, inquadrata come operaia e, dopo qualche anno, ottenni la qualifica di equiparata, ossia un inquadramento intermedio tra l’operaio specializzato e l’impiegato.
Il mio compito era di analizzare il prodotto finito, incidendolo con la punta di diamante per ottenere un cerchio che poi veniva immerso in un liquido rifrangente, allo scopo di valutare la purezza del vetro.
Era un lavoro di grande precisione perché poteva riguardare, ad esempio, i contenitori per la soluzione fisiologica, o altri contenitori che potevano rompersi nel riempimento; oppure, se un cliente avesse rilevato un numero di scarti superiore all’accordo, avrebbe avuto facoltà, in caso di contestazione, di respingere al produttore l’intero lotto. Dovevamo analizzare tutte le tipologie dei prodotti in produzione, e farlo tutti i giorni, motivo per cui il lunedì ci trovavamo a dover analizzare i vetri del sabato e della domenica.
Una battuta ricorrente, che circolava in fabbrica, riguardava Franco, un ragazzo portatore di handicap che, entrato in azienda senza la minima autosufficienza, aveva imparato ad essere più autonomo, per cui dicevano: “l’unico entrato in fabbrica e diventato più furbo è Franchino, gli altri invece di andare avanti sono regrediti”.
Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 ci fu una riduzione delle linee di produzione.
Per l’azienda che mi aveva assunto nel 1967 in un periodo di pieno sviluppo con 2.400 dipendenti, iniziava il periodo di crisi con cassa integrazione, mobilità e licenziamenti.
Diminuì di conseguenza anche il nostro lavoro, al punto tale che, quando alla fine degli anni ‘80 mi venne offerta l’opportunità di lavorare nell’Ufficio Programmazione della produzione e nell’Ufficio dei Tecnici delle Macchine, mi resi subito disponibile.
Così, dopo circa quindici anni di lavoro in Laboratorio Chimico, lasciai quella che per me era diventata la mia seconda casa, tant’è che anche dopo trent’anni di pensione, a volte sogno di essere ancora là presente.
La nuova mansione mi accompagnò sino alla fine del mio percorso lavorativo alla Bormioli Rocco, avvenuto il 9 Maggio del 1996.
Nelle quattro ore del mattino, il mio nuovo lavoro consisteva nel programmare gli articoli sulle linee di produzione, in base alle richieste dei vari commerciali, supportando e sopportando il responsabile della Programmazione della Produzione. Nelle quattro ore del pomeriggio, mi spostavo nell’Ufficio dei Tecnici delle Macchine, col compito di redigere la documentazione (i cartellini) per le regolazioni delle macchine di produzione, che nei giorni successivi sarebbero state oggetto di cambio dell’articolo.
Queste nuove mansioni mi valsero il passaggio da equiparata a impiegata.
Penso e credo di non aver mai avuto rapporti conflittuali con i miei tanti colleghi, anche se, a volte, avevamo opinioni diverse. Ho cercato di avere rispetto per tutti e mi capitò, ogni tanto, di sorridere anche a certe battute maschiliste che allora catalogavo come stupide, e che oggi definiremmo sessiste.
Faccio parte delle Medaglie d’Oro, e quando ci si incontra nel pranzo sociale sono contenta di rivedere le persone che hanno lavorato alla Bormioli Rocco, perché mi sembra di rivedere una parte di vita trascorsa, ma sento la mancanza dei tanti che purtroppo ci hanno già “salutato” …
In conclusione posso dire che, pur considerando le tante dure lotte sindacali sostenute, il ricordo della Vetreria Bormioli Rocco è abbastanza positivo.
Ed è anche stata la nostra giovinezza!!!